Elmetti militari mimetici in Kevlar

Chi sono e cosa fanno le “Private Military Companies”

Innanzitutto, è necessario fare una premessa. Negli ultimi anni la figura delle PMSC, banalmente e frettolosamente definiti “mercenari” è stata associata a forze non regolamentate e borderline. Il grande pubblico poi allo scoppiare della guerra a seguito dell’invasione dell’’u’Ucraina da parte della Federazione Russa, ha associato questa tipologia di squadre al famoso Wagner Group fondato da Dmitry Utkin, veterano delle guerre in Cecenia e membro del GRU (il servizio di intelligence militare russo) e guidata fino alla morte, avvenuta nell’agosto del 2023,  “per incidente” con elicottero da Yevgeny Prigozhin, personaggio ambiguo.

È certamente presente una grave mitologia negativa sul tema, di cui ne parleremo piu avanti.

Inoltre, è assolutamente necessario ricordare che i contractor italiani lavorano anche per i governi esteri e italiano. Sono attivi in tutti i teatri caldi al mondo, e se non ci fossero, sarebbe un grosso problema per tutti.

Per chi vuole intraprendere il percorso lavorativo del contractor, l’esperienza militare è importante ma non sufficiente. Le Private Military & Security Company (PMSC) svolgono attività di force protection che sono differenti in senso tecnico e tattico da quelle tipiche delle forze armate. Per questo motivo, i percorsi formativi di un contractor sono sviluppati e adeguati a seconda delle caratteristiche del singolo incarico. È assolutamente indispensabile per un ex appartenente alle forze armate, indipendentemente dall’esperienza maturata, intraprendere un percorso formativo ad hoc per adattarsi a una nuova realtà operativa. Molti pensano che per fare il contractor sia sufficiente saper sparare o esser “super palestrati”. Niente di più errato: bisogna conoscere le lingue, sapere di politica internazionale, di normative, di storia e sociologia del Paese dove si svolgerà l’incarico, nonché delle procedure standard operative. Insomma, il contractor deve essere un professionista della sicurezza a 360 gradi, sempre aggiornato sulle normative vigenti.

I COMPITI DEI CONTRACTORS

Nelle missioni all’estero, i compiti si differenziano a seconda degli incarichi oggetto dei singoli contratti che hanno, prevalentemente, solo carattere difensivo. Si va dai servizi Close Protection, ovvero protezione delle persone, alla difesa di Key Installations, cioè delle installazioni-chiave, all’addestramento delle forze di polizia locali, e a tutto quello che concerne il supporto all’attività governativa, agli organismi internazionali e a quelli nazionali nei Paesi post-conflitto. La lista degli Stati ad alto rischio è lunga, ad oggi, nessun Paese può considerarsi al sicuro da attacchi terroristici. Ovviamente, in cima alla lista ci sono i Paesi dove lo stato di diritto latita o è da ripristinare e non ci sono forze di polizia in grado di garantire la sicurezza del territorio. I campi in cui operano i contractor sono i più diversi, ma tutti hanno la finalità di creare dispositivi di sicurezza per garantire le attività di ricostruzione e di peace keeping.

UN RUOLO NECESSARIO

Negli attuali scenari geopolitici e con le attuali minacce, è impensabile che tali attività non vengano affidate alle PMSC e ai loro “contractor”, sia per una questione di rapidità burocratica, sia per una capacità di impiego e di schieramento sul terreno più rapida ed efficace rispetto a forze governative non addestrate ad hoc. C’’’è poi una ragione di natura politica ed economica: a parità di capacità operative necessarie nelle moderne operazioni, con le PMSC c’è un forte abbattimento dei costi. Inoltre, si riduce l’esposizione dei militari a possibili perdite. La difesa privata, in partnership e sotto la supervisione delle forze armate dello Stato chiaramente, è ormai un supporto irrinunciabile.

TRE TIPI DI ESPERTI

Normalmente, le figure operative sono di tre tipi: i TNC (“Third National Countries”) sono esperti di servizi statici di sorveglianza e difesa delle Key Installations; gli “Expatriate Specialist”, cioè specialisti a cui vengono affidati incarichi sensibili come ad esempio i servizi di Close Protection, training o intelligence (spesso provengono da Paesi Nato); e i Native Local, personale del posto, messe sotto contratto per i servizi di supporto alle operazioni, come ad esempio, interpreti, fixer, driver e così via. Gli Italiani sono quasi sempre contrattati come Expatriate Specialist, anche, ma non solo, per la loro capacità di mitigare i rischi e di essere dei grandi moltiplicatori di forze amiche, pur non avendo un metodo codificato. In pratica, siamo bravissimi a conquistare cuori e menti e questo, in zone ad alto rischio, fa la differenza.

LA MITOLOGIA NEGATIVA SUL TEMA

Come già anticipato, i contractor italiani sono attivi in tutti i teatri caldi al mondo e lavorano con serietà e professionalità. Purtroppo, la mitologia negativa intorno a queste attività è alimentata anche dal fatto che durante la guerra in Iraq, tra il 2004 e il 2007, sono successe cose indiscutibilmente terribili. La società americana Blackwater assurse, purtroppo, agli onori della cronaca in tutto il mondo. Lavorava direttamente per il Dipartimento della Difesa americano e si occupava di protezione diplomatica scortando l’incaricato americano Paul Brenner (privati che proteggevano un’entità statale). Compì cose inqualificabili, e alcuni suoi operatori vennero accusati di omicidio; successero cose indicibili. Quel tipo di atteggiamento contribuì alla creazione di una ritrosia conclamata verso la figura del security contractor. Però, da lì in poi, le cose sono cambiate radicalmente. Oggi, non è possibile andare in giro con atteggiamenti “rambeschi” con tatuaggi in evidenza o vestiti in modo inadeguato. Le società esigono un decoroso comportamento, dall’abbigliamento alle modalità di relazione. Le armi non possono essere palesate, e sono necessari controlli di ogni tipo su addestramento, protocolli, procedure e regole di ingaggio.

COME NASCONO LE AZIENDE DEL SETTORE

La nascita di queste società, oltre che nel Regno Unito, è da individuare nell’Est Europa, in Francia e in Germania. Per quanto riguarda UK, ve ne sono molte solo a Londra, alcune straordinariamente importanti. La società Aegis è stata venduta qualche anno fa a GardaWorld, il numero uno del trasporto valori e nella sicurezza aeroportuale in nord America. Tale società non faceva questo tipo di business; ha fiutato l’affare ed è andata a comprare Aegis in Inghilterra, acquisendone i contratti e creandosi una branca che si occupa di protezione ravvicinata. Ad oggi, nel nostro Paese non esistono realtà di questo settore che abbiano capacità economico-finanziarie come quelle delle società di cui sopra; un peccato, visto che le capacità operative e la profonda professionalità non ci mancano. Altra cosa è essere aziende delle dimensioni e del volume di Control Risk Group o Aegis/GardaWorld. Queste company possono contare non solo su imponenti attività di lobbying governativa, ma soprattutto su norme certe. Così si crea il volàno, difficile da far partire senza questi presupposti.

IL CONTESTO ITALIANO

In definitiva, per il nostro Paese, il Documento di Montreux del 17 settembre 2008 segna uno spartiacque importante per tutta la componente di diritto internazionale legata alle PMSC. L’Italia l’ha firmato e si deve adeguare a quanto sottoscritto. È il vero primo documento internazionale che definisce le norme di diritto internazionale, applicabili alle attività delle società militari di sicurezza private (PMSC), quando queste ultime sono presenti sulla scena di un conflitto armato. È completo, tutto perfettibile chiaramente, ma con la chiara distinzione tra Stati che impiegano PMSC, Stati in cui operano le PMSC e Stati in cui tali società hanno sede. Per ogni categoria, si richiama pertinenti obblighi legali in virtù del diritto internazionale umanitario e della legislazione sui diritti dell’uomo. Viene inoltre affrontata la questione della responsabilità dello Stato che impiega PMSC per comportamenti individuali del relativo personale in base al diritto internazionale vigente. Vengono poi affrontati i doveri della PMSC e del rispettivo personale, come pure la questione della responsabilità dei superiori.

CERCASI COERENZA

La serietà del documento si evince dalla completezza: in esso sono riportate le buone pratiche concernenti le normative stabilite in materia di PMSC, di armi e di servizi armati, introduzione di regimi trasparenti, concessione di autorizzazioni, adozione di misure tese a garantire una migliore supervisione e una responsabilità accresciuta, in modo che soltanto le PMSC che verosimilmente rispetteranno il diritto internazionale umanitario e la legislazione sui diritti dell’uomo possano fornire i loro servizi. A tal fine si rendono necessari addestramento, procedure interne e supervisione appropriati. È importante ricordare che l’Italia ha aderito e firmato il Montreaux Document nel 2009. Facendo appello al senso di serietà che, nonostante le tante sbavature, è presente nell’apparato delle nostre istituzioni, è arrivato il momento di essere coerenti, ogni qual volta assumiamo un impegno a livello internazionale, così da poter preservare (puntando, ancora una volta, alle migliori sinergie tra pubblico e privato) la sicurezza della nostra Repubblica, in Patria e all’estero.

I CONTRACTOR

Quando si parla di “Contractor” è ancora forte nel nostro Paese un atteggiamento sospettoso che alimenta una sorta di mito negativo. Si pensa subito a “mercenari pronti a tutto” e non alla realtà, ovvero una figura professionale che si occupa di servizi di sicurezza e di difesa di cose e persone. Come si fa a confondere il mercenario, l’unica figura vietata dal diritto internazionale (colui che per mero interesse economico prende parte a un conflitto armato senza far parte di una nazione in conflitto), con i Contractor, professionisti della sicurezza regolati a livello internazionale?

LA NORMATIVA IN ITALIA

Difatti, nonostante l’Italia abbia aderito alle Convenzioni di Ginevra, ai relativi protocolli addizionali e, soprattutto, al Documento di Montreux del 2008, non si è però mai dotata di una specifica normativa in materia, a parte quella che riguarda gli istituti di vigilanza, che però possono proteggere solo cose e strutture, oltre alla legge sull’antipirateria marittima.

Infatti l’unico caso in cui l’utilizzo della sicurezza militare privata è giuridicamente ammissibile secondo l’ordinamento italiano è quello dell’operato antipirateria. È logico immaginare che il propulsore verso questa nuova soluzione sia stata la situazione di grave dilagare della pirateria che si è riproposta in tempi recenti.

La legge 130/2011, che riconverte il decreto-legge 12 luglio 2011, n.107, prevede il cosiddetto “dual approach” alla sicurezza marittima, seguendo le recenti orme di Francia e Belgio, paesi che hanno anch’essi deciso di attuare l’ibridazione. La legge 130/201111 prevede il seguente funzionamento con doppio passaggio:

  1. Possibilità per gli armatori italiani di richiedere, solo per le zone navigabili classificate come High Risk Area;
  2. Un Nucleo Militare di Protezione della Marina Militare a tutela della loro imbarcazione civile. Il rapporto si basa su uno specifico accordo fra la Confederazione Italiana Armatori – Confitarma – ed il Ministero della Difesa.

L’accordo con Confitarma è di natura generale, mentre la decisione sulla concessione dei Nuclei viene poi effettuata caso per caso – in base alla disponibilità di personale e ad altre circostanze specifiche. Laddove il Ministero approvi la richiesta, l’armatore potrà usufruire della protezione di un team militare NMP (fornito come si anticipava nel paragrafo precedente dal Battaglione San Marco della Marina Militare Italiana) a fronte di una contropartita economica naturalmente a carico dell’armatore stesso. Il Nucleo Militare di Protezione (Vessel Protection Detatchment, VPD – secondo la dicitura internazionale) essendo a tutti gli effetti parte delle forze armate dello stato italiano, può eventualmente fare uso della forza: “Italian VPDs are invested with law enforcement powers for all the offenses related to piracy activities”, sebbene l’uso di poteri coattivi abbia importanti “limiti” simili a quelli “sull’uso della coazione imposti dall’ordinamento alle forze di polizia a terra”.  Laddove, invece, il Ministero non conceda la scorta di un Nucleo Militare di Protezione (e, si noti bene, soltanto dopo una risposta negativa ad una richiesta espressamente presentata al Ministero della Difesa e da questo vagliata e non approvata) l’armatore potrà – e qui sta la natura “ibrida” dell’approccio – ricorrere al settore privato.

In chiave subordinata (ausiliaria e secondaria) subentra a questo stadio la possibilità di utilizzare un team di Guardie Giurate private, direttamente contattato dall’armatore, o fornito da parte di una compagnia. La legge 130/2011 utilizza, rifacendosi al Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, proprio la dicitura di Guardie Particolari Giurate richiedendo –  come di norma – il giuramento dinanzi a Prefetto e le altre procedure standard. Dunque, de jure siamo di nuovo nella categoria della vigilanza privata, de facto, però, il contractor privato da destinarsi a questo tipo di operazioni deve avere – anche secondo la legislazione di contorno disposta dalle nostre camere – un background di tipo militare, aver frequentato degli specifici corsi di formazione o, perlomeno, avere alle spalle “almeno sei mesi” nelle Forza Armate con partecipazione “alle missioni internazionali con incarichi operativi certificati dal Ministero della Difesa”. Dunque, si tratta nella sostanza di un personale specificamente qualificato e selezionato per svolgere missioni tattiche, tra l’altro si richiede la licenza per il porto di armi a canna lunga (di cui certamente non tutte le guardie giurate dispongono). Tuttavia, occorre evidenziare la differenza operativa in termini di competenze assegnate, fra una Guardia Particolare Giurata (per quanto specializzata essa possa e debba essere), ed un membro delle Forze Armate italiane. Se il militare fornito dalla Marina ha i determinati “limiti” che esplicavamo pocanzi, ben più consistenti sono i lacci imposti ai contractor privati. Anzitutto, essi operano de jure entro il recinto legale relativo alla semplice GPG, ergo sono anch’essi deputati alla protezione delle sole proprietà: dunque, seguendo alla lettera la legge, essi possono agire in protezione dell’imbarcazione e del carico che essa trasporta, mentre non possono – per quanto assurdo possa sembrare – agire con lo scopo di proteggere un altro membro dell’equipaggio, capitano incluso. In secondo luogo, mentre i Nuclei Militari sono limitati all’uso di poteri di polizia, i team di matrice privata possono usare la forza solo per protezione personale (sottostando agli stessi identici limiti della legittima difesa che gravano sul cittadino italiano in territorio italiano, ovvero i vincoli imposti dall’art.52 del nostro Codice Penale).  Come che sia, è importante ribadire la natura residuale dell’intervento di queste Guardie Particolari Giurate nel quadro del partenariato pubblico-privato.

Dunque, esiste un vuoto legislativo, cosa inconcepibile in un sistema mondiale dove la privatizzazione della sicurezza è ormai qualcosa del tutto regolamentata e assodata. Ad oggi, sia la legge antipirateria in mare, sia quella che riguarda gli Istituti di Vigilanza, sono comunque così complesse che le nostre maggiori aziende multinazionali che operano fuori dai confini nazionali sono, spesso, costrette a ricorrere prevalentemente alle cosiddette PMC (Private Military Company), PSC (Private Security Company) o PIC (Private Intelligence Company) straniere per proteggere le loro attività e il loro personale.

IL RUOLO DEI CONTRACTOR

In pochi sono a conoscenza che quasi il 60% delle attività lavorative delle imprese italiane si svolge, del tutto o in parte, fuori dal territorio nazionale. Le imprese sono di fatto costrette ad avvalersi di consulenti ed operatori di sicurezza stranieri, perché in Italia, a causa della lacuna normativa, non riescono a svilupparsi PMC, PSC o PIC, lacuna che inoltre blocca anche opportunità di sviluppo per piccole medie aziende del settore, mortificando un altro volàno di occupazione per un Paese evidentemente in affanno e in perenna emergenza lavoro. Finché si faranno leggi sulla base di ondate emotive (quella sull’antipirateria marittima nasce sull’onda dei sequestri di navi e equipaggi italiani) e non sulla base di una seria riflessione e valutazione del problema sicurezza, il minimo che possa succedere è che ci siano questi vuoti normativi.

IL CONTESTO GLOBALE

Eppure, non è più possibile legiferare in base a pregiudizi o momenti emozionali. Quando parliamo di sicurezza, sarebbe davvero necessario usare sempre molta razionalità, competenza e, questa volta sì, non chiacchiere ed enunciazioni continue e vuote, ma eseguire una seria valutazione dei costi e dei benefici. Sul concreto, quanto costa al nostro Paese non avere una legislazione moderna sulle società di sicurezza? Quali sarebbero per noi i vantaggi sul nostro territorio e per le nostre aziende all’estero? Il mondo è cambiato, ma in Italia sembra che nessuno se ne accorga. Le maggiori compagnie del settore, come Halliburton, Cubic, SAIC, MPRI, Vinnell, DynCorp, la già famosa Blackwater, appaiono saldamente ancorate, con il loro business espresso in centinaia di milioni di dollari, alla classifica delle 500 maggiori imprese americane e, al momento, non ci sono segnali che questo trend rallenti o decresca.

COME NASCONO LE SOCIETÀ MILITARI PRIVATE

I conflitti, a partire dall’ultimo decennio del secolo scorso, sono stati combattuti con l’impiego di contractor civili per assicurare la pace e la ricostruzione, nonché per riformare le istituzioni di sicurezza, portando così alla nascita delle Società Militari Private che oggi conosciamo, ovvero vere e proprie imprese militari specializzate in operazioni di combattimento, piani strategici e di supporto operativo e logistico, training e approvvigionamento e mantenimento di armi ed equipaggiamenti. Di fatto, è stata la confluenza di diversi fattori di sfida e cambiamento che sin dall’inizio degli anni 90 ha portato al riemergere di queste entità, fino a farle diventare rapidamente una vera e propria industria. La prima ragione fu senz’altro politica. La fine della Guerra Fredda spinse gli Stati a una sostanziosa riduzione di pressoché tutte le forze armate nazionali, creando un surplus di offerta di manodopera militare di elevata qualità.

UN MONDO IN CAMBIAMENTO

La verità è che il crollo del muro di Berlino ha causato un’enorme riduzione di militari impiegati in entrambi gli schieramenti, per un totale di circa 7,4 milioni di uomini smobilitati e costretti a trovarsi un nuovo impiego. Analogamente, l’eliminazione dalle forze armate nazionali delle unità logistiche – per conservare le unità combattenti, considerate il cuore della funzione militare – insieme all’enorme numero di crisi che ha caratterizzato tutti gli anni 90 fino ad oggi, si sono ricollegati alla mancanza di volontà di intervento da parte degli Stati, non più disponibili a mettere a rischio la vita dei propri soldati in operazioni non più strettamente correlate agli interessi nazionali primari.

LA RISPOSTA AL “VUOTO DI POTERE”

È facile pertanto immaginare come, in un contesto in cui gli Stati si ritirano gradatamente dalla scena lasciando un vero e proprio “vuoto di potere” (dovuto allo scioglimento dei due precedenti blocchi) e rimodulando il controllo internazionale, i conflitti nascosti abbiano avuto un’impennata a cui le forze di intervento “pubblico” non potevano far fronte. Le PMC hanno quindi colmato quel vuoto, assorbendo in buona parte la manodopera specializzata congedata dagli eserciti e riaddestrandone altra a loro volta, così da coprire la fornitura di quei servizi logistici a cui gli eserciti avevano rinunciato e rendendo disponibili delle unità preparate a costo inferiore. In tale contesto di crescente crisi e disordine internazionale, si è aperto conseguentemente un sempre più florido commercio internazionale di armi che non solo poteva contare su un crescente numero di venditori e di compratori, ma anche su una grande varietà di attori che avevano accesso alle armi. Questo, abbinato alla sempre maggiore necessità degli Stati in via di sviluppo di assistenza per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza, ha dato alle PMC la possibilità di trarre profitto dai conflitti, impegnandosi anche su questo fronte. Fornendo assistenza umanitaria e supporto al sistema di distribuzione degli aiuti poi, le PMC sono state ingaggiate persino da organizzazioni umanitarie pubbliche e private, ONG e agenzie dell’ONU, al fine di assicurare la protezione del loro stesso personale nelle aree instabili.

Tutto si configura diversamente quando passiamo dal regno delle astrazioni a quello della realtà.

Karl Von Clausewitz

Articolo di Biagino Costanzo | Hermes – Centro Studi Europeo | Scientific Committee | WG on Geopolitical, Strategic, Economic & Intelligence Analysis


FONTI

MAECI, IAI, Confitarma, Confindustria, LUISS Dipartimento di Scienze Politiche e RAEALZIONI Internazionali (Prof. Raffaele Marchetti e Dr. Gianmarco Scortecci), AIPRESS (B.Costanzo); Bevilacqua 2014; Tondini 2013;E. Marchetti 2013; Cusumano, Ruzza