LA DEMOGRAFIA: PREMESSE TEORICHE
Si ritiene opportuno preliminarmente, prima di entrare nel dettaglio dell’analisi demografica, chiarire cos’è la demografia e perché è fondamentale per tracciare un quadro generale relativo alla popolazione europea.
In termini etimologici demografia ha derivazione dal greco, significando essa “descrizione della popolazione”. La demografia è riferibile a quella disciplina che ha per oggetto di studio le dinamiche afferenti alle popolazioni umane con riferimento alla composizione numerica e alla sua dinamica in termini di modificazione sotto il profilo quantitativo. Gli studi demografici analizzano gli sviluppi che provocano nel corso del tempo quelle modificazioni delle popolazioni nei vari gruppi di persone, sia che queste siano riferibili ad un piccolo paese, sia che queste siano riferiti in termini globali all’intero genere umano.
Gli incrementi, oppure i decrementi in termini numerici della struttura di una data popolazione, oppure la velocità di modificazione stessa insieme alle alterazioni della struttura interna, pongono dei quesiti a cui lo studio demografico prova a rispondere utilizzando metodi analitici che in seguito nella trattazione verranno esposti.
Come già accennato, l’oggetto dello studio demografico è la popolazione. Quest’ultima non è univocamente definita ma, in termini generali, essa si potrebbe considerare quale “un insieme di individui, stabilmente costituito, legato da vincoli di riproduzione e identificabile da caratteristiche territoriali, politiche, giuridiche, etniche, religiose o culturali in genere”. 1
Questi elementi in modo abbastanza elastico, ma tendenzialmente delimitabile, danno forma all’aggregato “popolazione”. L’analisi in ambito demografico ha natura quantitativa, così che la demografia è una materia a base fondamentalmente statistica. Lo studio demografico, quindi, si avvale di analisi che descrivono ed esplorano, con tecniche statistiche, le proprietà strutturali e dinamiche della popolazione umana. Le caratteristiche strutturali fanno riferimento alle proprietà interne di una data popolazione, secondo i vari tipi di combinazioni con cui essa può arrivare ad essere composta. Alcune di tali caratteristiche strutturali possono rivestire anche un carattere qualitativo, come la classificazione sessuale (maschio o femmina), l’eventuale rapporto di coniugio, il titolo di studio, il tipo di professione, l’alfabetizzazione. Per quanto concerne ad esempio il reddito, la quantità di figli generati, oppure semplicemente l’età, si è qui in presenza di una caratteristica di tipo quantitativo. Le caratteristiche degli aggregati umani in osservazione non hanno natura statica, in quanto esse per ovvie ragioni subiscono continue modificazioni nelle loro entità, essendo soggette a variazioni come, ad esempio, la diminuzione delle nascite rispetto alla diminuzione delle morti che causano all’interno del campione in analisi in modificazioni in termini di età media e della quantità di popolazione. La popolazione risulta essere quindi in una costante modificazione di flusso che varia le caratteristiche della stessa, come nascite, decessi, fenomeni migratori da e per paesi esteri; queste ultime rappresentano variazioni quantitative che possono essere chiaramente analizzate sotto il profilo statistico.
Tali variazioni da un lato, concorrono alla trasformazione quantitativa della popolazione, dall’altro causano la modificazione della struttura in termini di ripartizione delle varie componenti, come ad esempio il rapporto uomo/donna, l’età media, oppure il grado di aumento o decremento della popolazione in un dato territorio. Le variazioni della struttura di una popolazione in alcuni casi avrà natura prettamente biologica, come ad esempio le nascite ed i decessi, oppure il sesso dei nascituri, in altri casi avrà caratteristiche legate a fenomeni di natura giuridica o sociale, come ad esempio i matrimoni o le separazioni. Nondimeno, però, le caratteristiche legate ai fenomeni giuridico/sociali e biologici non sono da osservare sempre in modo separato, perché essi sovente si condizionano reciprocamente, dando un quadro complessivo delle dinamiche delle relazioni dei caratteri articolati, e spesso, di non agevole riconoscimento. Le dinamiche demografiche di una data popolazione sono la conseguenza di tantissimi comportamenti che partono dall’individuo fino alle scelte politiche dei vari Stati, e pertanto, a sua volta, la trasformazione demografica delle caratteristiche di una popolazione è frutto di tutte le interazioni (molte) che intervengono lungo in tutta la sua struttura.
L’indagine demografica, analizzando la struttura di una data popolazione, possiede particolare importanza in quanto osserva non solo aspetti prettamente inerenti ai flussi quantitativi degli elementi in esame, ma pone in relazione dinamiche naturali e sociali, fornendo eventualmente al decisore politico quelle informazioni in grado di consentire una modificazione di tendenze nefaste per una data popolazione, come quella italiana, la quale si trova in pieno “inverno demografico”. Appare quindi evidente l’importanza rivestita da tale ambito di studio.
Una popolazione è quindi formata da un insieme di persone che, in modo più o meno stabile, formano un gruppo connesso da elementi di riproduzione, con in comune elementi territoriali, politici, giuridici, etnici, religiosi o culturali in genere. In relazione a quanto detto, pertanto, la popolazione, per essere così definita, dovrà avere alcune costanti, quali la stabilità di gruppo (gli spettatori di uno stadio non formano una popolazione ma un gruppo occasionale), il collegamento di riproduzione (il quale assicurerà, in determinate condizioni, la stabilità e la continuità nel tempo di un gruppo di persone tramite la filiazione) nonché caratteristiche comuni come quelle territoriali e politiche. 2
Un po’ più nel dettaglio, si noti che la popolazione è costituita da una certa quantità di individui che fanno parte di un processo continuo di nascite e decessi. Questa successione sancisce il segno delle variazioni della popolazione, cioè incremento e decremento. In termini molto semplicistici, l’aggregato della popolazione P è il flusso di rinnovo composto dalle nascite N, al quale si sommano i flussi dati dall’immigrazione I; successivamente si andrà a decurtare il dato inerente ai decessi M ed il flusso emigratorio E, il tutto in qualunque intervallo di tempo t. Qui si avrà la variazione di una popolazione ΔP riassunta nella formula matematica:
ΔP = N + I - M - E
Uno dei primi quesiti a cui bisogna dare una risposta è di quanto aumenta, e con quale velocità, la popolazione?
Per il calcolo del tasso d’incremento della popolazione occorrono tre elementi:
- la numerosità della popolazione a date successive;
- l’entità dell’incremento totale;
- il tempo durante il quale avviene tale incremento.
Un tema importante, da evidenziare prima dell’analisi dei dati, è il “livello di rimpiazzo” della popolazione: se ogni coppia di genitori avesse due figli, i figli rimpiazzerebbero i genitori (in realtà il livello di rimpiazzo è di 2,1 che tiene conto, a livello statistico, della possibile mortalità infantile). Da ciò ne deriva che, quando in un paese la popolazione è a livello di rimpiazzo, questa rimane stabile, fatto salvo il fattore migrazione, che può cambiare l’equilibrio della popolazione.
SQUILIBRI DEMOGRAFICI E TENUTA DEL “SISTEMA PAESE”
Supponiamo che tu abbia ragione,
glielo diciamo, lei cambia idea
e la paziente muore, questo è morale?
In altri termini: per House non è morale
seguire le regole di una morale
che richiede il sacrificio della propria paziente. 3
Spesso il tema demografico è osservato sotto il profilo della sovrappopolazione del nostro pianeta. Però i tempi cambiano, e cambiano anche dinamiche numeriche in grado di mettere a repentaglio sistemi basati su delicati equilibri. Termini quali denatalità ed invecchiamento della popolazione hanno iniziato ad entrare nel lessico comune, e conseguentemente, anche in seno alle problematiche da risolvere in termini sociopolitici.
Abbastanza conosciuta la ferrea regola del figlio unico, anche se spesso attenuata, adottata in Cina per contenere l’impennata demografica, però, dopo quasi sette decenni si è arrivati verso uno squilibrio che sta causando un calo demografico oltreché un invecchiamento tendenziale della popolazione. Ora le coppie cinesi possono generare fino a tre figli.
La disciplina della geopolitica ha avuto nel corso degli anni una diramazione terminologica in sottocategorie, come ad esempio la geoeconomia, la geostrategia. Ora assistiamo alla diffusione, sebbene ancora abbastanza limitata, di un nuovo ambito “geo”: la geodemografia.
Questo sta a significare che cresce rapidamente l’importanza, e la necessità, di studiare a fondo le dinamiche demografiche delle varie popolazioni in quanto le trasformazioni in questo ambito di studio sono tendenzialmente lente, e per questo motivo, talvolta, i cambiamenti lenti passano quasi inosservati, arrivando però ad un certo punto a causare squilibri in grado di variare dinamiche anche strutturali dei sistemi paese in termini anche profondamente negativi, tra cui anche l’identità stessa di una nazione oppure di un continente, e finanche, la tenuta stessa dell’apparato statale, composto tra gli altri, di elementi fiscali, sanitari ed occupazionali.
In termini globali i dati mostrano che, le zone comunemente definite povere (Africa e Asia) hanno ancora un tasso in termini di fertilità nettamente sopra il tasso di sostituzione dei genitori (2,1 figli per coppia), e specularmente, noteremo come i paesi con un più diffuso benessere, hanno un tasso di sostituzione ben al di sotto della soglia minima.
Questo rapporto apre scenari decisamente critici per i decisori politici, e tra questi chiaramente è inclusa la classe politica italiana, la quale assisterà a dinamiche che con estrema probabilità avranno incidenze ben più accentuate rispetto ad altre nazioni. 4
L’Europa è entrata in una posizione di forte cambiamento demografico, in quanto osserveremo come le dinamiche inerenti all’invecchiamento della popolazione unita ad una diminuzione demografica importante sono affiancate ad importanti flussi migratori, più o meno marcati, in alcune zone del continente che avranno importanti ripercussioni sulla fisionomia sociale, politica, culturale ed economica dell’Europa e dell’Unione Europea. Il presente lavoro si pone l’obiettivo di collocare le tematiche derivanti dalle modificazioni demografiche europee, individuando fatti e possibili conseguenze, in ottica di prevenzione futura. La difesa della struttura demografica del nostro paese e di quelli dell’Unione Europea ha un’importanza determinante in quanto l’elemento fondamentale di qualunque organizzazione statale è la sua popolazione che, nei fatti, rappresenta l’insieme dei cittadini di uno Stato.
Il tema demografico fortunatamente ha iniziato ad aver un peso nella discussione politica, anche in seno agli Organismi dell’Unione Europea, tantoché la Commissione UE ha nominato Dubravka Šuica nella precedente legislatura (2019/2024), oltre che come Vicepresidente della Commissione UE, anche come Commissario a temi quali la demografia e la democrazia.
La mission letter della Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen in merito alla designazione di Dubravka Šuica indica esplicitamente nel tema demografico un necessario intervento:
il cambiamento demografico riguarda ogni parte della nostra società, dall’economia alla sanità, dalle migrazioni all’ambiente. Modella anche la nostra politica, la società e la cultura e ha un impatto sul nostro posto nel mondo. Voglio che lavoriate con tutti i Commissari per garantire che i nostri strumenti e le nostre politiche tengano conto delle implicazioni e dell’impatto del cambiamento demografico. Voglio che attingiate al lavoro di Eurostat, l’ufficio statistico dell’UE, per analizzare l’impatto del cambiamento demografico su diversi gruppi della società e su aree e regioni colpite in modo sproporzionato. 5
Quanto esplicitato dalla Presidente Von der Leyen è una chiara lettera di intenti in merito al tema demografico, e da qui si evince che l’analisi demografica nel prossimo futuro sarà sempre più determinante per più fattori, perché come prima riferito, il tema demografico riguarda ogni parte della nostra società.
In questo momento storico gli abitanti del pianeta Terra hanno raggiunto gli 8 miliardi di persone, con un aumento importante nell’ultimo secolo. La linea di tendenza a livello generale mostra che i tre principali paesi in termini numerici, ovverosia la Cina, l’India e gli Stati Uniti hanno frenato, se non ribaltato, la crescita tendenziale. Altri Stati come Bangladesh e Nigeria invece proseguono la corsa demografica, rappresentando tra l’altro che il Bangladesh è lo Stato con la più alta densità (persone su superficie, ad esclusione di piccolissime nazioni).
Queste tendenze globali però sono accompagnate da un progressivo aumento dell’aspettativa di vita che, unita ad un basso tasso di fertilità dei paesi cosiddetti occidentali, porterà verso evidenti squilibri demografici, se non sostenuti da adeguati flussi migratori, in grado di mettere a repentaglio la tenuta, sotto molti aspetti, dei sistemi paesi. Tale riequilibrio però potrebbe aprire scenari, per taluni, di perdita di identità dei paesi destinatari dei flussi migratori. Taluni sostengono che gli squilibri demografici sono inevitabili, ma questa posizione è quanto meno azzardata, perché in tal modo si assisterà passivamene a trasformazioni sociali ad un certo punto irrecuperabili.
L’affermazione del dott. Gregory House nel celebre telefilm potrebbe apparire fuori luogo in un contesto demografico ma, a ben vedere, i gravi squilibri demografici potrebbero portare a crisi profonde di un sistema paese le quali, in un modo o nell’altro, porteranno inevitabilmente a modificazioni radicali della struttura demografica. Bassa natalità e quindi spopolamento irreversibile di uno Stato, oppure puntare in modo convinto verso politiche demografiche in grado di invertire tendenze nefaste (pertanto spesa sociale), o invece, favorire politiche migratorie in grado di arginare la crisi demografica? Sono tutti quesiti che rientrano, paradossalmente, nella citazione di cui sopra. Bisogna solo capire come si vuol gestire il futuro.
DEMOGRAFIA EUROPEA
Un rapido quadro generale a livello globale si ritiene sia importante per comprendere in modo più approfondito ciò che sta accadendo a livello demografico globale. I dati (fonte ONU) mostrano che in termini generali in poco meno di 50 anni la popolazione umana si è raddoppiata. Il contraltare di questo dato è il rapporto dato tra il totale della popolazione mondiale e la popolazione europea.
Il dato è impietoso, anche ovvio per più motivi, che porta il valore percentuale dal 18.3% del 1975 ad un 9.2% del 2023.
Per quanto concerne i valori assoluti della popolazione europea, intesa come entità territoriale esclusa la Russia, nel 1975 la popolazione era di poco più di 676 milioni di persone per arrivare nel 2023 a circa 742 milioni. Una crescita di circa il 10% in 50 anni appare decisamente modesta. L’osservazione della serie storica mostra che vi è stato un continuo, seppur lieve incremento fino al 1990, per poi diminuire in termini incrementali dal 1990, per contrarsi dopo il 2020. Sempre in termini prettamente continentali notiamo che l’età media passa dai circa 31,4 anni del 1975 per arrivare a 42,2 anni di aspettativa di vita nel 2023. A questo dato, da una parte positivo perché indica che i residenti europei vivono in media a lungo, ma dall’altra parte mostra che la popolazione diventa sempre più vecchia. In questa dinamica gioca un ruolo importantissimo il tasso di fertilità, indicatore che mostra quanti figli genera una donna. Si rammenti come il tasso di sostituzione per mantenere una popolazione in equilibrio, ad esclusione del saldo migratorio, è 2,1. I dati mostrano che già nel 1975 la popolazione europea senza migrazioni si darebbe ridotta. Un ultimo importante parametro è quello relativo alla percentuale di urbanizzazione della popolazione europea che, da un 65.6 del 1975 è passato ad un 75.7 del 2023. Questi valori mostrano inequivocabilmente che le zone rurali si stanno spopolando in fretta, creando chiaramente da una parte grandi aggregati urbani, e dall’altra aree sostanzialmente spopolate. Sono informazioni che il decisore politico deve aver ben presenti per evitare seri squilibri già nel breve termine. Per quest’ultimo aspetto ha chiaramente giocato un ruolo importante il cambiamento del modello generale di famiglia il quale, passando da una famiglia “tipo” a base agricola che generava molti figli, sta passando ad una famiglia sostanzialmente a tre componenti, ovverosia madre, padre e figlio. I cambiamenti demografici sono indotti anche dalle modificazioni dello stile di vita sociale.
IL TREND DELLA POPOLAZIONE EUROPEA DELL’UE A 27
La popolazione europea a 27 Stati nel 1993 era composta da circa 424 milioni di abitanti (nettamente meno rispetto ai primi due Stati per popolazione, cioè India e Cina, ed un po’ più rispetto agli USA che contano circa 336 milioni di abitanti). Sotto il profilo della serie storica notiamo che le variazioni percentuali sono state molto contenute (tutte entro l’1%) per raggiungere circa 447 milioni di persone nel 2022 con una variazione percentuale complessiva di un modesto 5,5% su quasi 30 anni. Dato importante è quello del 2021 in quanto in tale data, a causa della pandemia si è avuto un decremento.
Per un’agevole e più snella esposizione, sono stati analizzati in modo approfondito i primi dici paesi per popolazione dell’Unione a 27, ovverosia Germania, Francia, Italia, Spagna, Polonia, Romania, Olanda, Belgio, Repubblica Ceca, Svezia, i quali tutti insieme rappresentano quasi l’82 % del totale. Sotto il profilo della variazione percentuale solamente Polonia e Romania hanno avuto nel periodo 1993/2022 un decremento dei residenti, non residuale, rispettivamente del 4,26% e 16,21%. In pratica la Polonia ha perso più di un milione e mezzo di persone, mentre la Romania poco più di 3,7 milioni di abitanti. La Germania ha guadagnato circa il 3% di abitanti, la Francia ha avuto un importante incremento del 15% (quasi 10 milioni di persone), l’Italia sotto il profilo della serie storica è aumentata di poco più di 2 milioni di residenti ma, si osservi come dal 2015 si è registrata una contrazione di circa 1 milione di abitanti. Questo dato la accomuna a paesi come la Polonia e la Romania per quanto concerne il decremento della popolazione, almeno dal 2015. La Spagna ha avuto performance in termini percentuali di incremento sul periodo 1993/2022 simili ad Olanda, Belgio, Repubblica Ceca e Svezia, mostrando performance incrementali abbastanza positive (più avanti verrà mostrata nel dettaglio la dinamica relativa alla variazione).
Il grafico successivo mostra quanto detto in modo più intuitivo seguendo le variazioni delle barre.
LA DINAMICA NATI VIVI E DECESSI
Un importante elemento di analisi è quello relativo al rapporto tra le nascite e decessi in quanto mette in risalto l’evoluzione in termini numerici, oltre che il confronto, tra due delle quattro componenti quantitative della popolazione. I dati inerenti alla natalità ed i decessi mostrano importanti fattori come l’eventuale denatalità, oppure, con il confronto dell’età media l’invecchiamento della popolazione. I dati acquisiti (fonte Eurostat) mostrano che il campione a dieci ha avuto una forte tendenza alla denatalità, con quattro nazioni che hanno registrato una drastica riduzione delle nascite. Purtroppo, una di queste è l’Italia che ha ripostato una diminuzione di nascite al 2022 rispetto al 1994 di ben 140.000 bambini, con un valore superiore al 26%. Considerevole la riduzione delle nascite in Spagna (-11,20%), Polonia (-36,6% con una diminuzione delle nascite di ben 176.000 unità), Romania (-27,76%), Olanda (-14,37%). Si rammenta che nel 2020 vi è stato il fenomeno pandemico, il quale molto probabilmente ha interferito anche nel processo di concepimento, e quindi nascite. I dati del 2020 vanno in questa direzione in quanto la diminuzione è stata più netta. Paesi come la Germania, la Francia ed il Belgio hanno avuto riduzioni più contenute, quasi marginali, inferiori al 5%. Solamente Svezia e la Repubblica Ceca non hanno dati tendenziali molto negativi. I presupposti non sono incoraggianti: l’Europa non fa più figli.
Specularmente ai nati vivi abbiamo i decessi. I dati e le linee di tendenza ovviamente rispecchiano il periodo pandemico con i picchi del biennio 2020/2021. Unica eccezione è la Germania in quanto mostra un’impennata già dal 2015.
Si è già osservato che la variazione di una popolazione ΔP è matematicamente rappresentata dalla formula ΔP = N + I – M – E, dove le componenti nascite e immigrazione contribuiscono al saldo positivo del valore totale. Escludendo per un attimo il fattore migrazioni, sarà interessate osservare congiuntamente la dinamica nascite/decessi.
I dati, ed i relativi grafici, mostrano cosa sta accadendo in merito alla evoluzione N/M dal 1995. Allorquando la linea di tendenza dei nati incrocia e va sotto quella dei decessi il saldo diventa negativo, e quindi, per tale analisi (N/M) la popolazione diminuisce al netto del fenomeno migratorio (in questi casi solo un saldo migratorio positivo salva dalla decrescita demografica). Specularmente, quando la linea dei decessi incrocia e va sotto quella delle nascite la popolazione, sempre al netto delle migrazioni, è in aumento. Si inizierà l’analisi partendo dalla Germania. Il grafico mostra inequivocabilmente che il paese tedesco in termini numerico ha molti più decessi rispetto alle nascite. Le due linee di tendenza mostrano che il divario aumenta sempre più, la popolazione è destinata a diminuire senza un saldo abbastanza positivo in termini di migrazioni.
La Francia si trova in una posizione decisamente migliore rispetto alla Germania benché il saldo positivo in linea di tendenza si riduce sempre più, ovverosia, meno nascite e più decessi. Il saldo negativo dovrebbe arrivare entro pochi anni qualora la tendenza non verrà invertita.
Il nostro paese purtroppo naviga in acque decisamente brutte. Dall’inizio della serie storica in osservazione, escludendo solamente il 2004, abbiamo registrato costantemente un saldo negativo tra nascite e decessi, con un divario in drammatica accentuazione. Entro pochi anni, al netto del saldo migratorio, avremo un rapporto nascite/decessi di 1:2. Il quadro è sconfortante.
Per quanto riguarda la Spagna fino al 2012 il saldo N/M era abbastanza positivo, ma purtroppo, dal 2014 si è registrata un’inversione di tendenza abbastanza marcata. Si noti il picco di nascite del 2008. Il 3 luglio 2007, il primo ministro spagnolo Zapatero annunciò in un discorso nazionale l’introduzione di un accordo universale con cui sarebbero stati introdotti incentivi economici alla procreazione. Per ogni bambino nato, o adottato a partire da quel giorno, le famiglie avrebbero ricevuto un assegno di 2500 euro in aggiunta ad altre eventuali sovvenzioni. 6
La Polonia sul rapporto N/M in base alla serie storica mostrata ha avuto margini molto ridotti sul saldo. Purtroppo, dal 2013 è iniziata l’inversione con valori in incremento per i decessi e diminuzione delle nascite. L’unico rimedio alla situazione è un saldo positivo migratorio. Si anticipa che il fenomeno migratorio in entrata dall’Ucraina avutosi a causa del conflitto con la Russia sta compensando la dinamica.
La Romania mostra un persistente saldo negativo tra N/M, evidenziando una tendenza in aumento dei decessi ed una diminuzione delle nascite. Anche per la Romania la situazione non è delle migliori.
L’Olanda risulta avere una posizione in termini di N/M in peggioramento sulla serie storica. Dal 1995 ha avuto un buon saldo N/M, ma purtroppo nel 2022 si è verificata l’inversione di tendenza, in quanto anche qui diminuiscono le nascite ed aumentano i decessi.
La situazione del Belgio graficamente è molto simile all’Olanda in quanto vi è un chiaro peggioramento della dinamica N/M dal 2020.
Per quanto concerne la repubblica Ceca intorno al 2006 la dinamica N/M è stata positiva fino al 2011, raggiungendo sostanzialmente il pareggio per alcuni anni fino al 2019. Purtroppo, anche a causa della pandemia, si è avuto un aumento dei decessi ed una diminuzione delle nascite.
Ultima Nazione in osservazione del campione è la Svezia. Dopo un peggioramento della dinamica avuta dal 1996 (con decessi abbastanza stabili) la Svezia in pochi anni ha sensibilmente migliorato il saldo fino al 2019. Questo miglioramento si è avuto anche grazie ad importanti politiche di sostegno alla genitorialità. In qualunque caso però la dinamica è in peggioramento in quanto nascono meno bambini e muoiono più persone.
FLUSSI MIGRATORI
I flussi migratori hanno sempre avuto un importante dibattito pubblico, ma qui, si osserveranno esclusivamente i dati dei paesi europei in osservazione nel campione a 10.
Il flusso migratorio, come già specificato, è composto dal flusso in entrata e dal flusso in uscita che porterà al saldo. Questo sarà positivo qualora vi siano più ingressi che uscite, negativo l’esatto opposto.
Si ricordi che la quantità della popolazione deriva dalle componenti N, M, I ed E. I dati Eurostat elaborati mostrano aspetti molto interessanti in relazione a tali flussi, perché ci danno un ulteriore informazione che ci porterà verso un quadro complessivo critico in ambito demografico. I dati relativi all’immigrazione in entrata nei paesi del campione in osservazione mostrano che l’Italia, la Francia e la Svezia sono sostanzialmente due paesi che attraggono in questo momento molti meno migranti rispetto agli altri (in termini di aumento sul 2021, sul grafico var% 21/22). La Polonia ha invertito la tendenza, ora in aumento dopo un periodo di costante declino. Appare evidente che il conflitto in Ucraina sta giocando un ruolo importantissimo in questa dinamica. Importantissimi i flussi in termini percentuali in entrata in Repubblica Ceca, in Germania, in Belgio, in Spagna ed in Romania. Sarà interessante verificare se la Repubblica Ceca e Romania saranno nazioni di mero transito oppure di permanenza definitiva di questi flussi in entrata. Si noti che i flussi in Italia hanno avuto importanti movimenti tra il 2006 ed il 2007. La Spagna si conferma sempre più un luogo di arrivo dei migranti.
Specularmente al fenomeno in ingresso abbiamo quello dell’emigrazione, dato che potenzialmente potrebbe mostrare l’attrattività di un sistema paese sia per i migranti, sia per la stessa popolazione nativa residente.
I problemi maggiori in termini di aumento del flusso in uscita li hanno la Spagna, l’Olanda, la Romania, il nostro paese e la Polonia.
A questo punto sarà importante osservare il saldo tra le due componenti demografiche.
I dati mostrano come nel 2022 nessuno dei paesi in osservazione ha avuto un saldo migratorio negativo. Si osservi come Polonia e Romania hanno avuto per molti anni un saldo migratorio sfavorevole, reso positivo sole negli ultimi anni soprattutto a causa del conflitto ucraino. La tendenza generale è positiva ad esclusione della Svezia, ed in parte del nostro paese, che vedono sulla serie storica un declino sui picchi.
I dati UNHCR al 2023 mostrano che la Polonia ha ricevuto profughi ucraini per 1.602.062 unità, la Germania 934.420, la Repubblica Ceca 519.964, l’UK 204.700, la Spagna 179.884, l’Italia 175.107, la Romania 131.462, la Francia 118.994.
Sarà interessante capire, e si spera ciò accada in fretta, se al momento del termine della guerra questi flussi migratori ucraini avranno un movimento di ritorno.
Altro importante elemento da osservare è quello relativo all’età dei migranti. In linea di massima i movimenti migratori per età sono abbastanza uniformi nel campione delle nazioni osservate, però la Francia mostra una dinamica molto spostata verso la fascia 20/24 anni e 25/29 anni, mostrando elementi residuali per le altre fasce di età interessante alla migrazione (comunque fino a 24 anni). I vari grafici mostreranno chiaramente quanto affermato.
Un dato poco osservato è quello relativo alla migrazione di cittadini UE verso altri paesi UE. In questo caso viene osservata la dinamica tra gli anni 2018/2021/2023. In assoluto la Romania ha più cittadini emigrati verso nazioni UE. La Polonia è stata al secondo posto per due periodi. Il 2023 fa registrare dietro la Romania il nostro paese. Questo dato mostra che il nostro paese in termini numerici vede l’esportazione versi altre realtà UE di nostri residenti. Anche questo è un dato su cui riflettere.
IL QUADRO N+I-M-E
Il movimento quantitativo della popolazione (positivo o negativo) viene dato dal valore derivante dalle somme delle nascite e dalla immigrazione a cui si dovranno sottrarre decessi ed emigrazioni (N+I-M-E). Al 2022 tutti i paesi campione sono in saldo positivo (come net mig) ma cambia sulla variazione quantitativa della popolazione in quanto il saldo tra nascite e decessi in alcuni paesi è stato negativo (Italia, Polonia e Romania). In molti Stati la positività è stata garantita solamente dal saldo migratorio positivo maggiore del N-M.
L’osservazione grafica della N+I-M-E sarà molto più eloquente in quanto mostrerà per ogni singolo paese quale componente influenza in modo rilevante la dinamica che porta verso l’aumento, oppure, la diminuzione della popolazione dei paesi in osservazione. La Svezia è molto influenzata in termini generali dall’immigrazione ma, un chiaro aiuto, viene dato dal valore delle nascite. Un basso valore di emigrazione mitiga il dato negativo dei decessi.
La Repubblica Ceca vede un sostanziale salpo pari tra nati e morti, fenomeno mitigato dal recente aumento della migrazione che ha fatto schizzare verso l’alto il saldo NIME.
Il Belgio e l’Olanda hanno una posizione molto simile alla Repubblica Ceca. Il fenomeno migratorio consente l’equilibrio demografico dei paesi.
La Romania ha un quadro critico in quanto ha molti morti rispetto alle altre voci NIME. Il declino demografico è evidente, ma appena mitigato dal flusso in entrata da parte della popolazione ucraina. Il saldo NIME (viola) è in territorio negativo. Il ragionamento è molto simile anche per la Polonia che vede un aumento della mortalità unità alla denatalità.
Per quanto concerna la Spagna si osservi che la componente principale del saldo NIME deriva dal flusso migratorio in entrata. In aumento la componente negativa relativa all’emigrazione. In Spagna nascono purtroppo pochissimi bambini (il tasso di fertilità per donna – TFT – è il più basso d’Europa).
Il nostro paese è uno Stato in rapido invecchiamento. Pochi bambini ed età media molto alta. L’età media alta porta verso un dato intrinseco alto relativo ai decessi. Il flusso migratorio in uscita è in aumento. Se non si invertirà la tendenza relativa alle componenti positive del NIME (nascite e migrazioni) unite ad un controllo delle emigrazioni (tramite politiche adeguate che non facciano andare via i residenti) il disastro demografico è proprio davanti a noi.
In Francia si ha il dato inerente alla natalità migliore d’Europa. Migliore ma non sufficiente in quanto il valore è al disotto del 2,1 figli per donna (1,79). In qualunque caso la tendenza è in peggioramento.
Il dato evidente della Germania in merito alla NIME è quello del fenomeno migratorio. La popolazione tedesca è retta dai flussi in ingresso, dato che muoiono più persone rispetto a quanto ne nascono. Tendenzialmente il fenomeno emigratorio è in discesa.
NATALITÀ E FECONDITÀ
Il tema della fecondità è un tema che non riguarda esclusivamente la donna, ma è un aspetto da osservare nel complesso all’interno del rapporto tra uomo e donna, dove all’interno giocano un ruolo importante numerosi, e spesso molto complessi, aspetti differenti tra loro, tra cui biologia e ambiti socioculturali. Il compito dello studio demografico è quello, per quanto possibile, di osservare il contributo di determinati elementi in merito alla fecondità umana. La fecondità è la naturale contrapposizione alla mortalità, e queste, giocano insieme un ruolo cruciale nella struttura demografica di una popolazione. Preliminarmente sarà opportuno precisare che per fecondità si intende la capacità concreta di procreare, mentre per fertilità si intende la capacità oppure la predisposizione a generare figli. Apparentemente sembrano concetti simili, ma vi sono delle differenze sostanziali, che presumibilmente saranno più chiare con un esempio. Per sterilità si intende l’incapacità a concepire, mentre per infertilità si intende l’impossibilità nel portare a termine una gravidanza da parte della donna, e quindi la nascita di un bimbo sano. In relazione a quanto esposto si deduce che, fertilità e fecondità sono due concetti intimamente correlati in riferimento alla capacità di produrre figli. Una delle misure da osservare in merito alla frequenza delle nascite all’interno di una popolazione è quella inerente alla natalità, la quale si traduce genericamente nel tasso generico di natalità:
n=NP
ove con n si ha il tasso generico di natalità, con N le nascite e con P la popolazione.
Il tasso generico di natalità però ha il limite di confondere la propensione a fare figli con la struttura delle età (ed anche per sesso), andando ad inquinare il risultato. Dopo di ciò sarà opportuno escludere dalla popolazione P quanto non necessario per ottenere un significativo tasso di fecondità. In ambito demografico esistono più metodologie per misurare la fecondità, e tra queste vi sono le misure di fecondità generica, le quali non prendono in considerazione la ripartizione dell’età. Appare utile riferire che convenzionalmente viene indicata nella fascia d’età tra i 15 ed i 49 anni l’età feconda delle donne.
In relazione a quanto detto, si andrà ad utilizzare il tasso specifico di fecondità (TFT):
fx=NxDx * 1000
il TFT fx mette in rapporto i nati da madri in età x Nx con la popolazione media femminile in quella età Dx. Si riferisce che ad esempio, per una madre di 30 anni, essa potrebbe essere a cavallo di due anni di nascita; quindi, al numeratore si dovranno indicare le due classi. Il TFT è sintetizzato nel seguente indicatore di intensità:
TFT = fx
Esprime il tasso di fecondità totale con classi annuali di età delle madri, le quali allo stato attuale sono 35 (49 anni – 15 anni).
Il calcolo del tasso specifico per classi di età può essere calcolato così:
Fxi= x= αfxi
da cui
Fxi= x= 1549fxi
da cui per classi quinquennali
Fxi= x= 1549fxi * 5
Un valore interessante è dato dal rapporto fornito dal tasso o fecondità di rimpiazzo, il quale riferisce quanti figli in teoria dovrebbe concepire una coppia perché possa proseguire la propria generazione. Se il tasso di fecondità è minore al valore di 2,1 la popolazione è destinata a decrescere, mentre se il tasso è superiore a 2,1 la popolazione è in crescita (al netto del fenomeno migratorio). Opportuno precisare che il tasso non è 2 (sostituzione della coppia madre/padre) ma 2,1 in quanto viene inserito nel valore relativo alla mortalità infantile.
Il Tasso di fecondità TFT in Europa, e nel campione a dieci dei paesi osservati, è molto basso ed in diminuzione tendenziale.
Il dato migliore, ma quantunque negativo e sotto la soglia di 2,1, è dato dalla Francia con 1,79 figli per donna. La Spagna è ultima con 1,16. L’Italia poco sopra con 1,24 figli per donna.
Il grafico successivo mostra con estrema evidenza che la soglia minima di mantenimento della popolazione di 2,1 figli per donna non si è avuta da nessuno Stato già dai primi anni 90. Solamente il fenomeno migratorio mantiene in piedi il sistema popolazione europeo.
Tornando parzialmente sul tema immigrazione un importante dato da osservare è quello relativo alle nascite derivanti da donne migranti. In termini percentuali il Belgio, la Germania, la Spagna e la Svezia hanno percentuali di nascite sul totale da donne migranti intorno al 30%.
Questi valori sostengono positivamente le popolazioni, anche se per la Germania, per l’Italia (molto accentuata) e per la Svezia la tendenza è in peggioramento. Anche in questo caso il dato fa riflettere, perché appare ovvio come il TFT per questa classe di donne nei fatti sostiene indubbiamente la natalità. Questo evidenzia che le donne storicamente native europee generano pochissimi figli. Il secondo grafico successivo mostra per nazione la tendenza generale delle nascite da donne migranti. La Germania mostra importanti variazioni positive del 2013 con una lieve flessione dal 2019. Risalta il declino delle donne migranti in Italia, le quali contribuiscono sempre meno alle nascite nel nostro paese.
Doveroso fare un piccolo appunto sul nostro paese in tema TFT. L’analisi dei dati mostrati alla ci mostra come il tasso di sostituzione minimo del 2,1 in Italia non lo abbiamo più dal 1976!
ETÀ MEDIA AL PARTO
Le donne europee posticipano sempre più la maternità la quale, sempre più spesso, risulta essere una scelta sempre più condizionata da tanti fattori, tra cui i salari e l’occupazione. Spesso le donne europee incorrono nella condizione che la nascita del figlio porta verso la riduzione del reddito da lavoro, soprattutto se la nascita capita negli anni subito successivi al termine degli studi. Questa dinamica potrebbe chiarire la tendenza a rimandare la maternità, che nei fatti, porta alla diminuzione della fecondità. L’analisi dei dati mostra come l’andamento nel tempo della distribuzione delle donne per età al parto sia in progressivo aumento con una media introno ai 32 anni sul campione a dieci osservato. Le più giovani mamme sono rumene (28,2 anni), le più mature le tedesche (32,6), Italia e Spagna subito dopo con 32,4 anni di età media al parto. In tutti i casi la tendenza è in aumento, mostrando in qualunque caso una distribuzione media intorno alla fascia d’età dei 28-34 anni. Questo dato mostra che mediamente le gravidanze sono programmate dopo i 30 anni d’età, cioè quando la possibilità di generare un figlio inizia biologicamente a diminuire.
Secondo uno studio del Ministero della Salute 7 lo spostamento in avanti della prima maternità dipende da fattori socioeconomici quali il generalizzato prolungamento del percorso formativo, le ridotte probabilità di sbocco lavorativo dei giovani, le modalità contrattuali (spesso precarie) dell’attività lavorativa, nonché la carenza di politiche di sostegno alle famiglie con figli, non trascurando le perdite di reddito delle lavoratrici derivanti dalla nascita di un figlio. La tendenza relativa all’età del parto delle mamme a breve rappresenterà un fattore importante per il TFT.
ASPETTATIVA DI VITA MEDIA
Altro aspetto interessante, ma chiaramente problematico, della struttura demografica europea, è quello inerente all’invecchiamento generale della popolazione, derivante sia dalla riduzione della natalità, sia dall’aumento dell’età media della popolazione.
Il processo generale di invecchiamento è una modificazione strutturale molto lenta, che già potrebbe risalire a molti decenni orsono, in quanto già da molti anni abbiamo assistito ad un lento e inesorabile abbassamento della natalità, che unito ad un miglioramento generale dello stile di salute ha portato verso un’aspettativa di vita che di fatto è aumentata sensibilmente nel corso dei decenni. Come si osserverà nelle figure successive si è passati da un valore di età media di quasi 75 anni al 1990 nel campione UE a dieci, a circa 81 anni. Tali valori sono aumentanti costantemente, fatta eccezione per il 2020 che ha causato un aumento della mortalità delle fasce anziane. Si noti come in pochi decenni l’aspettativa di vita è aumentata di tra i 4 ed i 10 anni (più per le donne). Tutto ciò inevitabilmente conduce ad un aumento significativo della percentuale di popolazione anziana, facendo del continente europeo un campione di invecchiamento demografico a livello mondiale. Si noti come i paesi più longevi siano la Svezia, la Francia, la Spagna e l’Italia. A livello mondiale il Giappone ha un’aspettativa di vita media di circa 84,4 anni (paese più longevo in assoluto).
Tali argomenti ci portano ad osservare il fenomeno tramite la piramide delle età, la quale ci mostrerà visivamente la dimensione della struttura demografica dei paesi in analisi.
Come già detto, tale rappresentazione grafica viene denominata come piramide delle età, perché assume (in condizioni favorevoli) quasi la forma di un triangolo isoscele con la cima orientata in alto, sempre che i dati non forniscano anomalie, come ad esempio una popolazione che nella fascia più anziana sia prevalente rispetto alle altre, e specularmente una bassissima natalità, relativamente in termini percentuali più bassa rispetto alle altre.
Riassumendo il contenuto delle varie forme che può presentare la piramide delle età si potrebbe riferire che, qualora il flusso dei nati si mostra costante oppure in aumento, la parte inferiore della piramide avrà ampiezza abbastanza larga.
Qualora il flusso delle nascite sarà declinante, la piramide mostrerà una riduzione della base unita a un ingrossamento sopra di essa che, come detto precedentemente, causerà man mano uno spostamento in termini relativi dell’età verso quelle più anziane.
Qualora il flusso dei parti dovesse essere importante, si noterà come la base della piramide sarà molto ampia, tanto da aversi sopra una chiara piramide, fenomeno molto chiaro se la fase di aumento della natalità sarà iniziata indietro nel tempo. Di seguito si potrà osservare graficamente 8 il caso dell’India nel 1979 in merito al caso esposto.
La piramide delle età dei paesi in analisi mostra una dinamica dal 1993 fino al 2023 con una tendenza all’invecchiamento.
La base (le età più giovani) mostra una chiara tendenza alla diminuzione a favore delle età più mature ed anziane. Caso eclatante è la tendenza italiana, in quanto graficamente si vede sul passaggio decennale l’innalzamento graduale della percentuale della popolazione più anziana con il relativo restringimento di quella più giovane.
IL SOSTEGNO STATALE ALLE POLITICHE GENITORIALI IN TERMINI DI SPESA
In momenti di crisi demografica come questi bisogna assolutamente favorire la natalità anche con politiche di agevolazione alle famiglie per metterle in condizione, anche economicamente, di fare figli.
I dati in possesso mostrano incontrovertibilmente che l’Italia è la Nazione che spende meno in termini di sostegno economico alla genitorialità. Si è visto in Svezia ed in Spagna (in passato) che sussidi economici, e non solo, favoriscono l’aumento della natalità.
I dati Eurostat dipingono un quadro abbastanza critico in termini di povertà di sussidi per i due paesi che, guarda caso, hanno i più poveri indici di TFT: la Spagna e l’Italia.
La Germania, Svezia e Polonia attuano politiche economiche importanti per favorire le nascite. Seguono la Francia con il Belgio. Dopo tutto quanto osservato appare più che ragionevole impiegare adeguate risorse in tal senso. Si noti come il nostro paese spende un quarto delle risorse destinate dalla Germania al welfare dedicato alla natalità/genitorialità. Forse il termine di paragone con la Polonia potrebbe apparire più sensato, perché il rapporto è quasi 1 a 3! Anche la Romania spende più dell’Italia.
Giova precisare che i dati Eurostat sono riferiti alle “Prestazioni sociali pro capite per funzione – Fam ESSPROS/FAM- Family Children”, con metodo di calcolo standard del potere d’acquisto, che è un’unità monetaria di riferimento comune artificiale utilizzata nell’Unione Europea che elimina le differenze nei livelli dei prezzi tra i paesi. Quindi, un PPS consente di acquistare lo stesso volume di beni e servizi in tutti i paesi. Questa unità consente confronti significativi in termini di volume degli indicatori economici tra paesi. In termini percentuali dell’intera spesa sociale il nostro paese 9 si conferma ultimo in relazione alla spesa di welfare per la natalità (Social benefits by function – % of total benefits).
GLI EFFETTI DELLA DENATALITÀ E DELL’INVECCHIAMENTO DEMOGRAFICO SUL SISTEMA EUROPA
Si è osservato che nel campione a dieci vi è una significativa diminuzione delle nascite. Questo fenomeno unito al miglioramento delle condizioni generali di vita delle persone ha condotto ad un importante aumento dell’aspettativa di vita media che ha superato gli 80 anni. Da ciò si deduce che, ed i dati osservato lo confermano, molti paesi sono destinati a spopolarsi ed a diventare molto anziani se non verrà invertita la tendenza della denatalità oppure se il fenomeno migratorio in entrata non andrà a compensare le dinamiche demografiche negative. Il fenomeno della denatalità, perché si è osservato che il tasso di sostituzione è abbondantemente sotto il minimo di 2,1 porterà verso il mancato ricambio generazionale con un divario nascite/decessi che aumenta. Entrambi i fenomeni comportano ulteriori conseguenze, in quanto il rapporto tra le persone in età lavorativa (15-64 anni) e non (0-14 e 65 anni e oltre) potrebbe aumentare molto entro pochi decenni, causando di fatto un serio problema di reperimento di soggetti in età lavorativa. Una diminuzione dei soggetti impiegati causerà una diminuzione delle entrate fiscali, e da qui, diverrà potenzialmente insostenibile il modello di welfare attualmente in vigore in molti Stati in quanto le spese impiegate per la sanità e per le pensioni chiaramente non avranno una contropartita nei flussi fiscali in entrata, rendendo di fatto insostenibile il sistema, anche perché aumentando sempre più l’età media di sopravvivenza, aumenterà l’accesso della classe anziana al sistema sanitario, ed ovviamente aumenterà anche il carico dell’assistenza pensionistica. Quest’ultimo fattore potrà essere mitigato solamente allungando l’età pensionabile dei lavoratori, ma non sarà possibile richiedere a soggetti, come ad esempio carpentieri, muratori, o in genere lavoratori in ambito usurante, di allungare a dismisura l’entrata in pensione. Unica opzione sarà per tali categorie il taglio degli assegni pensionistici, ma questo non appare socialmente equo.
In alcuni paesi tale problema, almeno nel breve termine, si potrà mitigare ricorrendo al debito pubblico, ma in Italia, ed altri paesi in simili condizioni, non sarà possibile per il già gigantesco rapporto debito/Pil. Non solamente pensioni in crisi a causa della questione demografica. Con una classe di età anziana che aumenta sempre più in Europa con un relativo aumento della frequenza di accesso alle cure mediche, il welfare sanitario gratuito potrebbe andare in crisi laddove previsto (spesa possibile grazie alla provenienza dal reddito nazionale che viene tassato ma che potrebbe andare in crisi con la diminuzione delle entrate fiscali derivanti dalle fasce in età lavorative).
Ulteriore aspetto sarà quello dell’aumento degli anziani non autosufficienti, perché come si è visto nelle varie piramidi delle età gli ultranovantenni aumentano sempre più. Il problema però non è nella presenza degli anziani, è abbastanza ovvio, il problema è la denatalità che porta a tutto ciò.
Lo spopolamento delle aree rurali con estrema probabilità porterà ad una diminuzione dei servizi assistenziali dei piccoli centri, fatto che aumenterà sempre più il disagio delle persone fragili. Aumenteranno le distanze da percorrere, ed aumenterà anche il costo privato per l’accesso al welfare. È tutto collegato.
Un aspetto da non sottovalutare è quello inerente alle unità abitative, in quanto negli ultimi anni, ad esclusione dei grossi centri, si è osservata una graduale diminuzione del valore degli immobili in determinate aree soggette a spopolamento. L’inverno demografico derivante dalla denatalità può essere mitigato con l’immigrazione, ma per alcuni Stati come l’Italia, i migranti dopo lo sbarco poi vanno via in quanto luoghi di mero transito.
Appare evidente che servono adeguate politiche volte ad incentivare la procreazione.
La crisi demografica in atto è ormai una questione di sicurezza nazionale per molte nazioni che, se non invertita nella tendenza, già nel breve causerà non pochi problemi ai vari “sistema paese” dell’UE.
Ora è necessario approvare urgenti e drastiche misure utili a far ripartire la natalità.
CONCLUSIONI
L’unica regione a livello mondiale che ancora mantiene un significativo alto tasso di fecondità femminile è l’Africa ma, la tendenza è in diminuzione nel lunghissimo termine. Gli unici paesi di “tipo occidentale” ad avere ancora attualmente una leggera spinta demografica sono le Americhe, mentre l’Europa è un’area in cui la popolazione cresce (pochissimo) solo grazie al fenomeno migratorio.
Relativamente ai dati mostrati si è osservato come il flusso delle varie componenti ci porterà verso un progressivo spopolamento di molte regioni europee con contestuale invecchiamento demografico, perché con un TFT medio di 1,5 in termini di nuove nascite si è troppo sotto il taso di sostituzione di 2,1 figli per coppia. Tutto ciò implicherà seri problemi sotto il profilo occupazionale, sociale, sanitario e fiscale e, se la tendenza non verrà invertita nel breve termine, si andrà in sofferenza molto presto. Purtroppo, con la struttura per età del nostro continente, si va verso un deciso innalzamento dell’età media. Il vecchio continente diventa vecchio in tutti i sensi con poche persone nel medio termine in grado di lavorare.
Siamo in presenza della “trappola demografica” derivante dal basso tasso di natalità del passato che produce nel futuro un conseguente decremento della base numerica dei futuri genitori, limitando conseguentemente al ribasso anche quelli che verranno dopo di essi; una profezia che si autoavvera portando verso una piramide delle età rovesciata.
Articolo di Giovanni Gambino | Senior Researcher | Hermes – Centro Studi Europeo | WG Geopolitical, Economic, Strategic & Intelligence Analysis
- M. Livi Bacci, Introduzione alla demografia, terza edizione, Loescher editore. ↩︎
- M. Livi Bacci, Introduzione alla demografia, terza edizione, Loescher editore. ↩︎
- Blitris, La filosofia del dr. House – etica, logica ed epistemologia di un eroe televisivo, ed. Ponte alle Grazie ↩︎
- G. Gambino, Demografia e sicurezza nazionale, ed. Socint https://press.socint.org/index.php/home/catalog/book/2022_07_gambino ↩︎
- https://ec.europa.eu/commission/commissioners/sites/default/files/commissioner_mission_letters/mission-letter-dubravka-suica_en.pdf ↩︎
- Barcellona School of Economics. ↩︎
- www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=3480 ↩︎
- https://www.populationpyramid.net/it/india/1979/ ↩︎
- il nostro paese spende in termini percentuali il 47,35% del totale welfare per le pensioni (il valore più alto del campione). ↩︎
N.B.: se non diversamente indicato i dati provengono da Eurostat. Se non diversamente indicato tutti i grafici sono realizzati dall’autore.