In un mondo decisamente in crisi nervosa taluni hanno la convinzione che rispondere colpo su colpo sia scelta saggia.
Però a ben vedere la scelta saggia dovrebbe essere quella di congelare una situazione ben capace di deflagrare con esiti dal finale decisamente imprevedibile e/o doloroso, perché in gioco non vi è solo la proiezione di potenza degli Stati, in gioco abbiamo anche la vita delle persone, spesso vittime inconsapevoli dei giochi di chi li governa.
I nodi chiaramente non iniziano con l’attacco israeliano a Damasco il 1° aprile contro una struttura diplomatica dell’Iran. Ma da qui si è avuto un cambio di passo tra le relazioni, in quanto è stata apertamente presa di mira una struttura formalmente iraniana e per di più ubicata in territorio terzo.
Nei fatti si è trattato di un attacco diretto nei confronti dell’Iran.
Questo è un fatto.
A questo l’Iran, come dichiarato immediatamente dopo, ha risposto colpendo direttamente Israele con le modalità che il mondo intero ha osservato. Ora lo scambio di tipo militare avviene direttamente senza procura a terzi.
Le modalità dell’ultima dimostrazione, o prova di forza che sia, da parte dell’Iran sembrerebbero frutto di un calcolo ragionato nel dettaglio, sia in merito all’utilizzo degli armamenti, sia in merito al luogo di partenza degli attacchi, sia in relazione a ciò che è stato dichiarato immediatamente dopo l’attacco (col nostro attacco la questione è conclusa).
Andiamo però in ordine. Vien da chiedersi se nell’ipotesi di una difesa israeliana non coadiuvata da USA, GB e Francia, quanto accaduto tra sabato e domenica avrebbe avuto esiti diversi.
In relazione al tipo di armamenti utilizzati, il mix iraniano utilizzato nella risposta potrebbe far presagire che non vi sia stata una reale volontà di colpire in massa, ma di dimostrare che lo scudo di Israele non è inviolabile, come i missili ipersonici hanno mostrato.
La dimostrazione iraniana, perché sembra tale, in relazione alla dotazione militare impiegata, e soprattutto i siti di partenza, hanno sostanzialmente “telefonato” la ritorsione (ad esclusione dei missili ipersonici) consentendo una più agevole intercettazione dei bersagli.
Dopo tali precisazioni entra in gioco l’immagine interna ed esterna dei vari attori in campo. I vertici iraniani sostanzialmente hanno avvisato Israele che colpire le proprie strutture diplomatiche, spazi che in precedenza si consideravano abbastanza sicuri da poter essere utilizzati per scopi militari, avrà una ritorsione. Israele per contro ha avvertito la controparte che non lascerà impunite le continue rappresaglie per procura contro i propri spazi.
La belligeranza tra le due realtà medio-orientali, senza uno stop immediato di un’ulteriore escalation potrebbe avviare una vera e propria guerra regionale dai contorni non proprio definiti, in quanto ognuno di questi ha alle proprie spalle un sistema di alleanze e supporti variegati e “voluminosi”.
Altro dato imprescindibile è quello relativo al fatto che non sono state prese di mira strutture non israeliane, evitandosi così un pericoloso incidente, e infatti, nell’immediato post attacco gli USA hanno saggiamente fatto pressioni in termini di “calma” non appoggiando (almeno pubblicamente) una risposta, tantoché il Presidente Biden ha dichiarato “hai avuto una vittoria, prendila”.
In gioco vi sono molti fattori, tutti potenzialmente capaci di attivare meccanismi dirompenti per la regione. Non si dimentichi che ancora la striscia di Gaza è sotto assedio dal post-7 ottobre. Nel bene e nel male Hamas sotto alcuni aspetti beneficia della forte risposta in termini di consenso pubblico, perché moltissimi considerano sproporzionata la reazione israeliana, tra cui l’ONU, che ha coinvolto i civili a Gaza.
I media sono inondati di immagini della sofferenza palestinese, fatta di morti e fame, nonché di bambini morti durante questi mesi. Il sistema di relazione opposto ad Israele non ha perso l’occasione per sfruttare tutto ciò, e infatti, la percezione dell’Iran in alcuni contesti è stata rivitalizzata, perché con esso Hamas resiste a Israele.
Altro aspetto, vi è stato il sorvolo dei sistemi d’arma iraniana dello spazio giordano, anche questo un chiaro messaggio.
In tutto ciò, complici i vari punti di faglia sparsi in tutto il mondo, il programma nucleare dell’Iran, almeno dai media, è sparito dalle prime pagine, considerato che non appare plausibile che sia stato interrotto. Questo è un tema importante, perché fa presagire in lontananza uno scontro tra entità nucleari.
Il conto dovrebbe essere salato qualora si venisse realmente alla guerra, perché i danni si estenderebbero su scala globale. A questo punto vien da chiedersi se l’Iran voglia veramente una guerra diretta tra le parti. Da quanto osservato sembrerebbe di no, anche perché si potrebbe avere il più che possibile intervento massiccio statunitense nell’area. Ma qui si innesca anche la volontà USA di intervenire in un fronte caldo e dispendioso, anche perché sul tavolo vi sono altre questioni, anche in termini geopolitici e strategico-militari (Ucraina e Taiwan), senza dimenticare le elezioni a breve.
In termini tattici è stato segnato un nuovo confine, ossia l’attacco diretto tra le parti. Si spera che questa non diventi la nuova “normalità” perché è decisamente pericolosa se accettata implicitamente.
A livello generale vi sono sempre più focolai di guerra per procura, stati che armano terzi per fare guerre che direttamente non si possono fare, ma ciò, con lo scacchiere così complesso attuale è un pericolo per tutti. Non sembra di essere davanti a un sé, ma ad un quando il danno diventi irreversibile.
Non si dimentichino gli Houti che attaccano le navi. Si risponde con presenza militare che possa consentire il passaggio dei convogli commerciali a Suez. Ma nei fatti si allunga la rotta passando dall’Africa. Questo aumenta quindi i costi, che a sua volta aumentano potenzialmente la spirale inflazionistica. È tutto un innalzamento della tensione a livello globale.
In conclusione, le mosse dell’Iran sono apparse dimostrative e ben ponderate, giocando a favore della dell’intendimento dei propri punti di forza e delle debolezze dei suoi avversari.
Si spera che sarà anche così la risposta alle azioni dell’Iran. Anche se forse avrebbe ben più senso il congelamento delle azioni militari nella regione a favore della diplomazia.
La prima chiaramente riguarda l’azione militare a Gaza, nei fatti scintilla nella guerra tra le guerre. Il primo ed immediato intervento dovrebbe essere quello inerente alla messa in sicurezza dei civili a Gaza, togliendo ad una parte quello specchio da mostrare al mondo in termini di consenso. Servirebbe inoltre, perché risolutivo, una reale confronto verso un percorso non reversibile, non limitato nel tempo, verso uno Stato palestinese. Perché questo nei fatti toglierebbe alibi a molti in termini di odio ed aggressione, riducendo molto l’importanza tattica e strategica di molti attori nella regione.
Negoziati e buona fede tra le parti, oppure prima o poi il grosso incidente ci sarà.
Articolo di Giovanni Gambino | Senior Researcher | Centro Studi Europeo WG on Geopolitical, Strategic, Economic and Intelligence Analysis