Un dettaglio della bandiera del Kosovo, in cui compare la forma del Paese in giallo su sfondo blu.

Kosovo: percezioni di (in)sicurezza e rischi per la stabilità europea

L’invasione russa dell’Ucraina del Febbraio 2022 ha mostrato come simili scenari di destabilizzazione possano svilupparsi velocemente all’interno di altri contesti europei non pienamente pacificati.

A tal proposito, i Balcani occidentali rappresentano un crocevia per la sicurezza europea e le relazioni euro-atlantiche nel medio e lungo termine.

All’interno della stessa regione, la normalizzazione delle relazioni tra Serbia e Kosovo è fondamentale per stabilizzare l’intero spazio post-jugoslavo, accelerarne il percorso di integrazione nell’UE e contrastare qualsiasi spillover conseguente alle dinamiche della guerra russa contro l’Ucraina.

Statualità e identità contese

Escludendo strategicamente le diverse complessità simboliche e storiche della statualità del Kosovo, il percorso di normalizzazione iniziato a Brussels nel 2013 raggiunse importanti risultati nel biennio successivo. La risoluzione di questioni tecniche, ma non di minore importanza (riforma del catasto, riconoscimento dei diplomi, etc.), riconobbe una certa credibilita ai negoziatori europei ed élite politiche per i risultati raggiunti. Ciononostante, il processo di normalizzazione rimase ambiguo nella sua implementazione: un approccio troppo normativo e burocratico trascurava bisogni reali e aspirazioni dei cittadini. Una lunga fase di stallo fu interrotta solo tra l’agosto 2018 e l’aprile del 2021.

Nel tentativo di ripristinare il percorso di normalizzazione e trovare un’alternativa al parallelo processo di integrazione nell’UE, alcuni Paesi balcanici (Serbia e Slovenia) e altri memberi dell’UE considerarono un piano di “aggiustamento territoriale” tra le aree a maggioranza albanese della Serbia e quelle serbe del Kosovo nel 2018. Nel 2021, lo scandalo dei “non-papers” mise nuovamente in luce un possibile piano di riorganizzazione dei confini contestati dei Balcani occidentali.

Un tale scenario apparve deleterio per aver ignorato (1) la presenza di serbi a “sud del fiume Ibar” in Kosovo, (2) il difficile ma presente ripristino delle relazioni interetniche negli altri contesti nazionali, (3) la riorganizzazioni di una nuova politica di integrazione nell’UE, già cambiata dopo l’ingresso di Romania e Bulgaria. Nonostante la mancata implementazione di entrambi i progetti, la proposta riecheggia nelle sfere pubbliche di Kosovo e Serbia nei momenti di crisi internazionale e stallo politico.

Una nuova variabile deve oggi essere considerata nel medio-lungo termine: un possibile accordo di pace (o di cessate il fuoco) tra Kiev e Mosca, che assecondi le velleità russe nei territori occupati in Ucraina, potrebbe rafforzare l’idea di una “all-in-one-solution” di territori disfunzionali sul piano istituzionale (Bosnia) o impantanati nel tortuoso processo di pacificazione (Serbia/Kosovo).

Demografia e “Grey Rhino”

Una delle dissonanze nelle analisi del “nodo kosovaro” rimane legata alla posizione della minoranza serba nel Paese. Alcuni punti di analisi devono essere chiariti: (a) i serbi costituiscono circa il 5% dell’intera popolazione del Kosovo, nonostante gli ultimi eventi di violenza ne amplifichino la percezione nello scenario politico regionale; (b) il Kosovo rimane un Paese multietnico, le cui minoranze hanno un ampio riconoscimento dei propri diritti in ambito costituzionale.

Semmai, l’implementazione di tali diritti nelle politiche pubbliche rimane problematica; (c) la presenza della minoranza serba non è solamente importante nella regione settentrionale del Kosovo: città come Gračanica/Graçanicë e Štrpce/Stërpcë contano circa 14.000 residenti di etnia serba.

Secondo la recente analisi dell’ESI, circa 129.474 serbi vivevano nel territorio kosovaro nel 2004. Tale stima appare congrua a quella dell’ECMI del 2013, che indicava un totale di 130,591 serbi in Kosovo, di cui 73,944 nella zona settentrionale (Nord Kosovo) e altri 56,647 nelle restanti aree a “sud del fiume Ibar”. Tale comparazione è importante alla luce delle recenti dichiarazioni del Presidente serbo, Aleksandar Vučić, su una presunta “pulizia etnica” dei serbi del Kosovo conseguente le decisioni politiche di Albert Kurti.

Una retorica, quella di Vučić, simile a quella moscovita nel giustificare l’intervento in Ucraina a difesa della minoranza russa. Bisogna sicuramente confermare che la popolazione serba ha subito un declino del -22% nell’ultimo ventennio.

Un’analisi approfondita e comparativa dimostra però che tale calo demografico dei serbi del Kosovo segue coerentemente quello di altre regioni in Serbia: Kolubara -20%, Nord Backa -20%, Pomoravlje -20%\, Rasina -20%, Branicevo -22%, Jablanica -23%, Toplica -24% Mid-Banat -24%.

Ciononostante, la strategia retorica di Belgrado prendere le sembianze di un “Grey Rhino”: ossia, uno scenario caratterizzato da una minaccia probabile all’interno dei Balcani, di possibile grande impatto su scala regionale, da tempo trascurata e sottovalutate dall’UE. Negli ultimi mesi la serie di avvertimenti e concreti casi di violenza sembrano confermare la possibilita di una prossima destabilizzazione. In serie cronologica nel periodo 2021-2023: la crisi sul riconoscimento delle targhe di circolazioni serbe, il ritiro delle autorità di rappresentanza serba dalle istituzioni kosovare, gli scontri a Belgrado in supporto dei serbi del Kosovo seguiti dalla richiesta di invio di 1000 militari serbe da parte da Belgrado; il boicottaggio della comunità serba delle elezioni locali nel Kosovo settentrionale e successive violenze che hanno coinvolto anche il contingente KFOR; l’arresto di tre agenti di polizia kosovara al confine meridionale serbo; l’uccisione di tre paramilitari serbi facenti parte del gruppo barricato dentro il monastero serbo di Banjska.

Percezioni di (in)sicurezza

Studi qualitativi condotti tra il 2018 e il 2020 tra i serbi delle zone rurali del Kosovo meridionale evidenziavano una quasi totale mancanza di ostacoli alla convivenza interetnica. Nonostante i fenomeni di stigmatizzazione giocavano un ruolo ancora importante nell’immaginario collettivo, molti intervistati mostravano una forte pragmaticità nel ripristino delle relazioni interetniche. Ad esempio, molti erano già in possesso di una documentazione personale (carta d’identità, patente di guida, ecc.) rilasciata dalle autorità kosovare e non di Belgrado. La mancanza di infrastrutture e fenomeni di corruzione sistemica (state capture) della politica serba venivano considerati come la principale causa dell’enclavizzazione delle stesse comunità serbe.

Ciononostante, due importanti avvenimenti hanno cambiato la percezione della sicurezza nella comunità serba: 1) nel 2020, l’introduzione delle misure di prevenzione del contagio del SARS-CoV-2 favorirono l’aumento di atti vandalici contro i luoghi sacri serbi e proprietà private; 2) la mancata realizzazione dell’Associazione delle Municipalità a maggioranza serba. Quest’ultima, ripresa nel processo di normalizzazione del 7 Febbraio 2023, ha visto l’opposizione delle autorità kosovare. Bisogna precisare che Pristina non contesta l’allargamento dello spazio di autogoverno dei serbi a livello locale, nonostante una precedente bocciatura della Corte Costituzionale. Oggetto di critica rimangono le modalità attraverso cui la realizzazione di una tale forma di autogoverno garantirebbe a Belgrado (piuttosto che ai cittadini serbi) un pieno controllo politico ed economico delle municipalità.

Una tale riorganizzazione politico-amministrativa del Kosovo comprometterebbe la funzionalità statale del Paese a causa di (1) una completa indipendenza dei serbi dall’architettura istituzionale e (2) una costante interferenza di Belgrado come nello scenario bosniaco. Entrambi contribuirebbero inoltre all’esplosione del “Grey Rhyno effect” sopra citato.

Pace (Im)Possible?

La normalizzazione tra i due Paesi potrebbe essere raggiunta attraverso un ritorno all’approccio del 2013-2015. Per evitare lo stallo burocratico, alcuni esempi positivi possono essere considerati:

  • la proposta di Pristina di riforma del sistema bancario attraverso l’introduzione dell’Euro come moneta unica potrebbe essere anche sostenuta una politica di assistenza fiscale per la comunità serba, riconoscendone i diritti alla pensione, la ripartizione dei tributi, etc., e favorendo il dialogo con le autorità kosovare. Tale scenario potrebbe inoltre disincentivare la stessa comunità serba a intraprendere attività illegali ma che permettono un’alternativa all’isolamento economico e dipendenza dal dinaro serbo.
  • favorire la cooperazione interetnica su importanti problematiche locali. Nella cittadina di Peja/Peć, comunità serba e albanese hanno collaborato nel sistema di gestione dei rifiuti, diminuendo l’impatto ambientale sulla cittadinanza dovuto al serio problema delle discariche abusive in Kosovo. Tali modelli di cooperazione potrebbero essere allargati in altri settori e coadiuvati dal contingente internazionale delle KFOR.

L’UE dovrebbe interrompere la politica di appeasement nei confronti della Serbia e sostenere Paesi membri (soprattutto i cinque non-recognisers dell’UE) nell’intraprendere percorsi alternativi di avvicinamento e riconoscimento del Kosovo. Esempio costruttivo è quello della Spagna che ha recentemente riconosciuto il passaporto kosovaro nonostante le possibili criticità derivanti dalle istanze di indipendenza catalana.


Articolo di Francesco Trupia, PhD | Senior Researcher Centro Studi Europeo | WG on Geopolitical, Strategic, Economic and Intelligence Analysis